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Fashion Marketing: le strategie della moda 4.0

La moda ha fatto il punto zero. Questa industry da sempre dominata dall’artigianalità sta subendo radicali trasformazioni a causa del digitale: nuovi canali, nuove modalità di acquisto, processi produttivi innovativi, l’ingresso dell’Intelligenza Artificiale nel settore etc. 

Ma come deve evolversi il Fashion Marketing per rimanere al passo con la trasformazione digitale? Approfondiamo l’argomento con Isabella Ratti, autrice di un libro sul tema (vedi qui).  

Fashion Marketing: intervista a Isabella Ratti


Una ricerca realizzata da Google definisce i consumatori luxury “tech-savy”. Spiegaci perché i brand del fashion hanno l’esigenza di dar vita a una narrazione digitale e in che modo possono legare i contenuti alla vendita. Vuoi portarci un esempio concreto di un marchio di lusso che ha migliorato l’esperienza d’acquisto dei suoi consumatori attraverso i contenuti?

“Con la rivoluzione digitale si è assistito a un ribaltamento delle strategie comunicative dei settori Fashion&Luxury. Una campagna, per essere davvero incisiva, deve fare riferimento principalmente alla target audience e alla customer experience.

Non è più il brand a detenere il controllo delle relazioni con il cliente ma è il contrario: i consumatori – che vengono definiti consumAttori – per via della loro incrementata consapevolezza che li porta a consumare e a ricevere molteplici stimoli, sono sempre più esigenti e chiedono di essere messi al centro

In tale direzione lavorano le politiche omnicanali: quei brand che non riescono a raggiungere con semplicità il consumatore a prescindere dal canale utilizzato partono già da una posizione svantaggiata. Questo perché il digitale e la moltiplicazione dei canali di comunicazione permettono di diffondere un messaggio adatto a ciascuno dei destinatari, anche a livello generazionale (Millennials, Centennials etc.). 

È proprio questa una delle sfide più avvincenti del Fashion Marketing: unire differenziando. Pensiamo ai Millennials, che consumano brand di lusso non appena si riconoscono nella loro immagine: per conquistarli sono numerosi i casi di marchi che sono usciti dai tradizionali confini di posizionamento di prodotto attuando strategie di brand extension e co-branding. 

Un caso noto è la collaborazione tra Louis Vuitton e Supreme, marchio freestyle newyorkese che deteneva un negozio a Greenwich e all’epoca era poco conosciuto: il risultato è una contaminazione tra lusso e lo streetwear. Per sapere di più su Supreme leggi qui.

È cambiato anche il concetto stesso di lusso: chi acquista un capo di abbigliamento di una maison acquista non solo il prodotto in sé, ma anche tutto quello che ruota intorno ad esso, inclusa la trendiness o meglio la notorietà del brand. Non si vendono più solo prodotti, ma esperienze. 

Questo vale anche per quelle aziende della moda che, pur non corrispondendo i loro prodotti al lusso tradizionalmente inteso, hanno una forza commerciale notevole. Il motivo sta nella loro capacità di intercettare e soddisfare le necessità emotive del proprio target di riferimento. Il nuovo consumatore di lusso non ha problemi a spendere 10mila euro per un paio di scarpe, purché lo rappresentino e in esse riesca a ritrovare i propri valori estetici ma soprattutto di appartenenza al proprio “status quo”.

Integrare lo storytelling di brand con l’experience è stato il primo passo per rendere il consumatore protagonista, facendolo sentire parte di una community. Tra i pionieri figura Burberry, uno dei primi brand fashion a presentare una sfilata in live streaming, con il consumatore che diventa spettatore diretto e viene reso partecipe. Il risultato è una relazione più stretta con il brand

E ne beneficiano anche le vendite, con l’introduzione del modello see now, buy now che riduce il lead-time e soddisfa le esigenze di consumatori abituati dal digitale al “tutto e subito”. 

social media, inoltre, si sono rivelati ottimi strumenti per il mondo fashion, un’opportunità unica per creare nuovi contenuti legati al brand, vere e proprie piattaforme di broadcasting e community in grado di stimolare l’interattività (ad es. con il lancio di contest o con il coinvolgimento di persone del mondo dello spettacolo) e di dar vita a relazioni forti e significative con l’audience.” 

Se il tema chiave è la personalizzazione sempre più spinta dei contenuti e l’articolazione degli stessi a seconda del canale di destinazione, quali strategie possono adottare i brand del lusso per assicurare esperienze omnicanali? Vuoi farci un esempio concreto?

“Se da un lato si assiste a un nuovo modo di fare shopping da parte di un consumatore sempre più evoluto, dall’altro è necessario che le aziende lo coinvolgano in maniera diversa, soddisfacendo richieste sempre più spinte di customizzazione

In questo nuovo scenario l’online non sostituisce necessariamente l’offline ma lo completa, creando un’armoniosa customer experience lungo tutti i punti di contatto possibili tra la marca e il cliente attraverso molteplici canali e strategie di comunicazione integrata

Il consumatore vuole un’esperienza omnichannel e le fashion maison devono creare quanti più touchpoint possibili tra il proprio brand e il consumatore. Spesso nella fase di ricerca il cliente si affida al canale online, ma poi in quella di acquisto preferisce recarsi fisicamente in negozio

È in questa direzione omnicanale che lavorano tecnologie come la realtà virtuale e AR in-store. Si parla, infatti, di “augmented retail” per indicare quelle commistioni tra digitale e fisico che consentono allo shopper di spostarsi senza soluzioni di continuità tra i due regni. 

Tommy Hilfiger è pioniere nell’utilizzo di smart mirror (vedi qui). Si tratta di specchi dotati di sensori RFID (identificazione a radiofrequenza) che riconoscono i capi portati in camerino e sono dotati di un touchscreen che permettono la navigazione personalizzata all’interno dello shop. 

Non si tratta più di scegliere tra l’esperienza fisica del negozio e quella smaterializzata dell’e-commerce perché lo sviluppo tecnologico aiuterà sempre di più a riprodurre la convivialità dello shopping. Pensiamo a LuisaViaRoma, il luxury store diventato il campione dell’e-commerce made in Italy e di quella multimedialità che coinvolge competenze e interessi diversi. 

Il brand, infatti, pur essendo una realtà nata su digitale, vuole essere un consulente moda (un personal shopper) per i propri clienti offrendo spunti e insight su come creare un total look perfetto: il consumatore viene “scannerizzato” al cento per cento e seguito in tutto il suo percorso d’acquisto con consigli e suggerimenti su misura, secondo quelli che sono i suoi desideri. E i contenuti giocano un ruolo rilevante in questo processo. 

Per creare un’esperienza ancora più coinvolgente, ci sono brand fashion che hanno incorporato il fattore sensoriale in negozio. Realtà come Abercrombie&Fitch o Hugo Boss hanno cosparso i loro punti vendite di fragranze, innescando nella memoria dei clienti un ricordo unico del brand. 

Ma è il modo in cui riescono ad arricchire l’esperienza del consumatore con storie significative che porta a un reale coinvolgimento: lo storytelling di un marchio, infatti, è una componente critica per comunicare il suo valore ai clienti. E per questo non va abbandonato il passato, anzi il digitale contribuisce a farlo diventare un punto di forza, con il racconto della sua artigianalità e unicità. 

È il caso di Inside Chanel, dei cortometraggi ospitati su un’apposita sezione del sito che propongono dei contenuti esclusivi legati al marchio e ai momenti salienti della sua storia (tra essi il profumo N 5, il più conosciuto dell’azienda). Ma anche di F is For di Fendi, una piattaforma apposita per i millennials, che risponde alle loro necessità in termini comunicativi. 

E in questo caso, per sovrintendere alla produzione di contenuti necessari per ogni target, bisogna assicurarsi di avere un’infrastruttura distributiva adeguata che rispetti l’unicità di ogni singolo consumatore.” 

Con un consumatore alla ricerca non più di un bene fisico ma di un’emozione, qual è il ruolo degli ipertesti visuali che i brand del lusso possono sfruttare per coinvolgere gli utenti?

“Sicuramente l’utilizzo dei video è una delle colonne portanti delle strategie di Fashion Marketing di successo. Del resto, quale modo migliore di raccontare il proprio brand e le emozioni che trasmette se non attraverso il video di una sfilata o di presentazione della collezione

Non mancano altri casi di ipertesti visuali (oltre ai già citati smart mirror) sfruttati dai brand fashion per creare engagement e aumentare le vendite. Lacoste, ad esempio, brand iconico che incarna i valori dell’eleganza e della performance propri del suo fondatore, il campione di tennis René Lacoste, non ha rinunciato a ricorrere alle opportunità offerte dalla tecnologia

Infatti, per lanciare una nuova linea di prodotti, delle sneaker di tipo streetwear (“Bring the colour”), con la firma di LCST e quindi avvicinarsi al target dei Millennials, l’azienda ha incaricato Engine Creative di produrre una campagna di comunicazione globale di AR (Realtà Aumentata)

Con l’app, che combina la scansione 3D dei prodotti con l’AR e viene usata in-store, gli acquirenti riescono a vedere come sarebbe il modello sul loro piede senza doverlo provare. Per poter utilizzare il servizio, gli shopper devono mettere il piede su un tappetino a sensori e scansionarlo con il loro smartphone. 

In questo modo Lacoste offre una risposta alla richiesta di identità e unicità di un consumatore esposto a un’offerta sempre più globalizzata. Riesce, infatti, tramite la telecamera dell’app, a costruire una scarpa su misura, un accessorio che spesso per via della sua complessità (è composta da più elementi come suola, tomaia etc.) è difficile da far combaciare con la tipologia di piede che deve ospitare. 

Il consumatore viene quindi persuaso sul modello di scarpa più indicato ai suoi piedi e può sperimentare la prova dell’intero negozio anche in caso di mancanze logistiche (se non c’è il numero o un particolare modello) e senza dover aspettare che si liberi il commesso.” 

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