Come di consueto, la fine di un anno si trascina con sé la definizione del budget di quello successivo. Giorni caldi per lo stack tecnologico, tra dismissioni e riconferme.
Occhi puntati soprattutto alle nuove adozioni. Come capire (o spiegare) se serve introdurre un nuovo software nell’ecosistema digitale aziendale?
Il 2023 sta tramontando.
Dodici mesi caratterizzati da innegabili incertezze affiancate da una solida sicurezza: il digitale.
Da maggio a novembre 2023, specie grazie all’AI, il numero di tool per il marketing (Martech) è cresciuto del 18,5%, superando quota 13.0001. In parallelo, è aumentata anche la dimensione dello stack IT delle aziende.
Martech for 2024, ChiefMartec, 2023.
È improbabile che il prossimo anno questi trend si interrompano bruscamente.
La salute delle organizzazioni è connessa all’efficienza dei loro processi e alla rapidità con cui arrivano al mercato. Le soluzioni IT – specie quelle SaaS – giocano un ruolo chiave da questo punto di vista.
Tuttavia, l’imprevedibilità degli scenari in cui le aziende operano, sommata alle numerose adozioni IT del passato, stanno favorendo una maggiore prudenza nella gestione del budget riservata al comparto tecnologico.
Ecco perché è ragionevole attendersi un 2024 all’insegna di due forze: quella espansiva dell’innovazione e quella di contenimento derivante dalla necessità di razionalizzazione.
Martech for 2024, ChiefMartec, 2023.
È pur vero che innovare resta un priorità e che per farlo la tecnologia è fondamentale.
Come spiegato nel corso della nostra tavola rotonda con clienti e partner da Claudio Tonti di Websolute, le aziende con un bisogno tecnologico espresso sono pochissime.
I motivi? Molteplici. La complessità del mercato IT, le pressioni di contenimento del budget, ma anche l’esiguo grado di consapevolezza delle aree effettivamente critiche per l’efficienza dell’organizzazione.
Per tutti questi motivi – e molti altri – le esigenze di governance digitale del patrimonio informativo sono in gran parte latenti.
Al netto delle campagne di marketing dei vendor, delle best practice di settore e delle correnti di pensiero a favore o contrarie dei team, per capire se adottare o meno un software DAM e un software PIM serve porsi una domanda.
Quanto vale il patrimonio informativo aziendale? Per avere la risposta, occorre considerare due elementi:
Lo diciamo subito: è quasi sempre impossibile da calcolare l’impatto sui ricavi di un’illustrazione, di un video o di una descrizione commerciale di un prodotto.
Sebbene si possa misurare il ROI di una specifica campagna, la maggior parte del patrimonio informativo è destinato a molteplici utilizzi. Se la stessa foto di un prodotto sta in un catalogo cartaceo, in una rivista e in una campagna su Facebook, vien da sé che è impossibile determinare la quota di fatturato generata in via esclusiva dall’immagine stessa.
Il business, infatti, è frutto del riscontro che il mercato offre rispetto a un mix di strategie commerciali e di marketing, di cui un asset digitale (così come un’informazione di prodotto) è una frazione inscindibile.
Di sicuro, contenuti multimediali e dati di prodotto sono alleati fondamentali per il business, perché permettono di narrare, posizionare e promuovere l’assortimento, elevando la customer experience.
In sintesi, asset e informazioni sono irrinunciabili e impattano col segno più sui ricavi ma non sappiamo dire di quanto. Tenendo questa riflessione nel cassetto, veniamo ora all’altra faccia della medaglia: i costi.
A differenza dell’impatto del patrimonio informativo sui ricavi, quello sui costi è più facile da calcolare.
Per farlo, occorre tenere presente che sia gli asset digitali che le informazioni di prodotto sono caratterizzate da un ciclo di vita che ha inizio con la loro creazione e termina con la pubblicazione sui canali finali2.
Nella tabella che segue riportiamo alcuni esempi di costi che derivano dalle varie fasi del ciclo di vita di entrambe le anime del patrimonio informativo.
Fase del ciclo di vita | Esempi di costi relativi ad asset digitali e dati di prodotto |
---|---|
Import & Creazione | Tempo e risorse necessarie per la creazione Canoni degli spazi cloud o costi di manutenzione dei server in cui si trovano oggi dati e asset Tempo speso per ricercare un singolo dato o contenuto |
Gestione | Tempo speso per ottimizzare contenuti e informazioni a seconda delle specifiche dei vari canali |
Collaborazione | Tempo speso per saltare da tool diversi per approvare un asset |
Distribuzione | Tempo perso a condividere a colleghi e partner B2B l’asset richiesto Tempo speso per copiare e incollare su ogni canale B2C asset e dati Costi di banda in assenza di una ottimizzazione dei contenuti multimediali Tempo necessario per tradurre a mano i dati di prodotto |
Gli elementi da considerare, in realtà sarebbero molti di più.
L’incertezza di quale sia la versione più aggiorna di un asset, il tempo passato in attesa di ricevere feedback e/o contenuti, i mancati introiti di campagne partite in ritardo; benché difficili da misurare, si tratta di questioni sentite all’interno di molte organizzazioni.
In ogni caso, la tabella, è un buon punto di partenza per riflettere sul valore del proprio patrimonio informativo; disponendo di una manciata di informazioni è piuttosto rapido giungere a una stima dei costi ragionevole.
Ad esempio, moltiplicando il tempo medio speso per ricercare un contenuto per la dimensione dei vari team e il salario orario medio, calcolare ore ed euro di inefficienza è un gioco da ragazzi; allo stesso modo il copia-incolla sui vari canali è pari al numero di asset per quello di canali in cui si pubblica per il tempo medio necessario per le pubblicazioni.
Il calcolo è prezioso in fase di valutazione di un software DAM e/o PIM. Questi tool, infatti, abbattono (nei migliori dei casi azzerano) i tempi per ricercare, gestire e distribuire gli asset digitali e le informazioni di prodotto.
Per valutare la convenienza dell’adozione dei software, basta confrontare la somma delle voci di costo della tabella con la proposta di pricing dei software vendor. Se la prima supera la seconda, l’adozione di un DAM e/o un PIM è conveniente.
In primis perché, come detto, quello riportato è un elenco parziale dei costi, a fronte di altri non facilmente calcolabili che accrescerebbero ulteriormente la convenienza economica verso l’adozione dei software.
Inoltre, come anticipato, DAM e PIM impattano positivamente anche sulla CX e aumentano i ricavi, oltre a ridurre i costi.
Volendo riassumere in una parola il contributo di DAM e PIM al ciclo di vita del patrimonio informativo, questa sarebbe riuso3. Tanto maggiore è il costo necessario per produrre i contenuti, tanto più conviene dotarsi di strumenti che li centralizzino, li rendano accessibili in modo agile e li distribuiscano al meglio su ogni touchpoint.
Prima di chiudere, c’è ancora un aspetto che è importante citare.
L’adozione di un nuovo tool non può prescindere dalla questione integrabilità.
Senza alcun dubbio innovare è importante ma – anche per quanto detto in apertura – la spinta della razionalizzazione non si può e non si deve ignorare, anche perché permette di focalizzarsi sull’ottimizzazione dei costi IT.
THRON PLATFORM, ad esempio, oltre a essere dotata di connettori e API, concentra in una piattaforma unica le funzionalità di Digital Asset Management e Product Information Management.
Abbiamo realizzato un template Excel che simula gli impatti dell’intero ciclo di vita dei tuoi asset digitali e delle informazioni relative ai tuoi prodotti.
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1 Martech for 2024, 2023, ChiefMartec.
2 L’ultima fase del ciclo di vita secondo gli approcci di Digital Asset Management e Product Information Management (incluso il nostro) prevede che sia il Monitoraggio, che qui non riportiamo per semplicità.
3 Un articolo interessante sul tema.